Solo una impresa su cinque potrebbe investire nella transizione senza perdere la stabilità finanziaria
Le imprese più esposte al rischio climatico in Italia sono 73.000. Operano in particolare nell’oil&gas (sia estrazione e produzione che raffinazione e commercio), nella produzione di energia, nei settori del cemento, del ferro e acciaio, dei materiali da costruzione, nell’agricoltura.
Si tratta di aziende che già presentano debiti per 207 miliardi di euro e che per decarbonizzarsi e raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette al 2050 dovranno sostenere investimenti aggiuntivi per 226 miliardi di euro. Ben 15.000 di esse però, cioè più di 1 su 5 (21,4%), potrebbero farlo senza minare la propria sicurezza finanziaria, indebitandosi per 46 miliardi di euro. Tuttavia, i tassi di decadimento mostrano una crescita della rischiosità negli anni 2022-2024, mentre la previsione per il biennio 2025-2026 è di un generale assestamento che coinvolge tutti i settori produttivi, grazie alla discesa dei tassi di interesse.
Sono queste le principali evidenze dello studio Cerved che analizza l’esposizione al rischio climatico di 750.000 imprese di capitali italiane.
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