Cerved
  • ITA
Homepage/Pro Web Digital Consulting/Online Advertising/Meta stoppa le ads politiche e sociali in UE: l'impatto sul Digital

16 settembre 2025

Meta stoppa le ads politiche e sociali in UE: l'impatto sul Digital

Condividi:

A partire da ottobre 2025, Meta disattiverà ogni forma di pubblicità a pagamento su temi politici, elettorali e sociali nell’Unione Europea. Una decisione che arriva in risposta alla nuova regolamentazione TTPA (Transparency and Targeting of Political Advertising), ritenuta troppo complessa e rischiosa da gestire, con sanzioni potenziali fino al 6% del fatturato globale.

Non è una scelta etica o editoriale: è una scelta di business. Come già fatto da Google, Meta preferisce uscire dal gioco piuttosto che accettare le nuove regole. Ma al di là del comunicato ufficiale, cosa significa davvero tutto questo per chi fa digital advertising?

Un impatto reale su chi lavora nel settore paid media

Per i team performance il cambiamento è strutturale: pubblicità mirate basate su interessi politici o cause sociali non saranno più erogabili sulle principali piattaforme Meta.

Le strategie multicanale che includevano retargeting, lookalike e campagne informazionali per ONG, fondazioni, comitati civici, istituzioni locali, attivisti o università subiranno una battuta d’arresto.

Il punto critico non è solo “non si potranno più promuovere certi temi”, ma che nessuno sa con certezza dove sia il confine tra quello che è lecito promuovere e quello che rientra nel divieto.

Basterà che un contenuto accenni a un tema di rilevanza sociale (ambiente, disabilità, integrazione, educazione civica) per finire nel mirino del filtro? Chi deciderà se una campagna è “politica”? L’inserzionista o l’algoritmo?

Una sfida di legittimità, non solo di performance

Chi lavora in questo settore sa bene quanto le campagne politiche o sociali non siano “pubblicità come le altre”. Generalmente sono strumenti di partecipazione civica, divulgazione, coinvolgimento. E spesso sono gestite da soggetti piccoli, locali, con risorse limitate, per i quali pochi euro spesi bene su Facebook o Instagram fanno la differenza.

Con questa decisione, viene meno uno degli strumenti più accessibili per promuovere idee, progetti, biografie e battaglie culturali.

Non possiamo ignorare che questa scelta alza l’asticella per tutti. Ecco come ripensare parte della strategia:

  • rafforzare il ruolo del sito web come centro della narrazione: SEO, contenuti long-form, pagine tematiche ben indicizzate diventano asset strategici;
  • costruire community proprietarie (newsletter, gruppi, podcast) che non dipendano da logiche pubblicitarie esterne;
  • diversificare i canali ADV: piattaforme più piccole o locali (TikTok, Spotify, LinkedIn, Programmatic, DOOH) possono offrire spazi alternativi.
  • investire nel contenuto organico: non tutto può (o deve) passare dall’advertising. Creatività, qualità e coerenza premiano anche senza sponsorizzazione;
  • prepararsi a una compliance più tecnica: il futuro delle campagne richiederà sempre più trasparenza, raccolta dati consapevole e tracciamenti a norma (es. consent mode v2, conversion API, segmentazione etica).

Un’ultima riflessione: la trasparenza può convivere con la libertà?

La regolamentazione europea nasce da un intento giusto: ridurre la disinformazione, aumentare la trasparenza. Ma se la risposta dei big player è ritirarsi dal campo, chi ne paga davvero il prezzo? Non i grandi partiti o i centri media milionari, ma i piccoli attori, le realtà indipendenti, le voci fuori dal coro.

Quando le piattaforme decidono unilateralmente chi può comunicare, e chi no, non è solo una questione tecnica. È una questione democratica.

Per questo come professionisti del digital advertising abbiamo il dovere non solo di trovare soluzioni alternative, ma anche di porci domande scomode. Perché la visibilità non può diventare un privilegio concesso solo a chi ha budget e potere.