I termini “fallimento” e “liquidazione volontaria” sono diventati ormai di uso comune, ma fanno riferimento a due fenomeni diversi tra loro. Vediamo insieme le differenze.
Le cause che portano al fallimento o alla liquidazione volontaria (o in bonis) sono diverse:
Secondo i dati Cerved, per la prima volta dopo un anno e mezzo in continua decrescita, nel secondo trimestre 2023 sono tornati ad aumentare i fallimenti delle imprese italiane (+1,5% rispetto allo stesso periodo del 2022), mentre le liquidazioni volontarie hanno visto un’impennata del 26,1%.
Complessivamente, tra aprile e giugno del 2023 sono stati registrati 2.070 fallimenti (vs 2.039 del 2q 2022), mentre le liquidazioni volontarie registrate nello stesso periodo sono state 10.446 (vs 8.282 del 2q 2022).
In Italia, a luglio 2022, è entrata in vigore la nuova disciplina sulla Crisi d’impresa e sull’insolvenza, che rappresenta una vera rivoluzione per il nostro ordinamento giudiziale. La normativa fornisce maggior spazio a strumenti alternativi di risoluzione della crisi oggi ritenuti più efficienti della vecchia legge fallimentare. La logica seguita è quella “debtor oriented” già utilizzata presso altri ordinamenti europei (tra cui quelli di Francia, Germania e Spagna). In questo modo l’imprenditore dovrebbe avere meno difficoltà a far emergere tempestivamente lo stato di crisi d’impresa.
La liquidazione è volontaria quando a decidere la chiusura dell’azienda in crisi sono i soci, che dispongono della libertà di cessare l’attività quando lo desiderano, anche senza una motivazione specifica.
La liquidazione è giudiziale, se disposta forzatamente da un Tribunale, e coatta amministrativa, se disposta dall’autorità amministrativa.
Mettere la propria azienda in liquidazione significa che non essendoci più possibilità di sopravvivenza per la stessa, il CEO o i soci dell’azienda o il consiglio di amministrazione, nel caso in cui si stia parlando di aziende di grandi dimensioni, decidono di chiuderla e liquidare i suoi beni.
In altri casi può invece verificarsi che lo scioglimento dipenda da cause disciplinate dalla legge, ad esempio quando viene meno la pluralità dei soci e non viene ricostituita entro 6 mesi.
Il ricavato che deriva dalla vendita di tutti i beni materiali viene usato per pagare tutti i debiti. Se, completata la procedura di liquidazione rimane un patrimonio attivo, questo viene diviso tra gli aventi diritto (i soci in genere).
La procedura si conclude una volta che l’azienda ha liquidato tutti i propri beni, quindi cessa di esistere.
Il procedimento di liquidazione è composto da tre fasi: una fase preliminare che vede la successione tra amministratori e liquidatori (lo scioglimento), una seconda fase, gestita dai liquidatori, in cui si procede alla vera e propria attività di liquidazione dei beni e delle attività aziendali (la liquidazione), e un’ultima fase, sempre gestita dai liquidatori, di chiusura del procedimento, che prevede il riparto dell’eventuale residuo attivo e la cancellazione della società dal registro delle imprese (l’estinzione).